AGOSTO 2022
Paolo Bui
Critica di Valerio Grimaldi
C’è una guida –ed insieme una unità– precisa nelle opere di Paolo Bui, che si presenta con una serie compressa di variazioni su alcuni motivi fondamentali, comunque sempre ricchi di implicazioni, intensità, decantazioni svolte secondo un preciso ordine mentale ed anche pittorico nella misura in cui la pittura, tramite la sua funzione evocativa piuttosto che rappresentativa, trasmette emozioni invece di registrare semplicemente immagini.
Siamo in presenza in effetti di una metabolizzazione dell’immagine intesa come percezione che è pur sempre uno stato della coscienza, di un racconto in cui non vivono suggestioni illustrative ma piuttosto tracce di una materia mobile, espansa, aperta, ordinata in una infinita gamma di variazioni, di densità di luci improvvise di intonazioni di volta in volta calde e pacate o fredde e lunari. In Paolo Bui si legge quasi un rapporto esponenziale tra realtà e storia interiore percepita dalla immaginazione come geografia del sentimento pronta a tradursi in apparizione per stratificazione, sedimentazione quasi cancellazione di stesure successive.
La costante di un sempre critico e selettivo articolarsi del segno, delle scansie e degli spazi, rappresenta un dialogo incessante con se stesso e con la sua decantata materia in una metamorfosi del reale sintetizzata in una epifania ed in un cifrario di immagini spesso collassate in un colore invaso dalla intensità della luce. L’artista sembra affrontare ogni tela fuori da qualsiasi gabbia compositiva e in un equilibrio di tensioni dinamiche che sottendono una interiorità manifestata e manifesta, tensioni trattenute in campo dell’assoluto della pittura che è comunque obiettivo primario ed ineludibile. La luce permanente in trasparenza o con esplosioni improvvise sottende echi poetici ed esistenziali, una misture di razionale e di impulsi vitali che sistemizzano il quadro in un transito senza soste verso significati remoti, alchemici, evocativi. Arte del gesto e del colore, espressione astratta, concreta, materica in cui, come scriveva Maurizio Calvesi nel lontano 1959, intuizione ed attuazione dell’immagine tradotta e metabolizzata derivano da una impronta di simultaneità, di risoluzione imprevedibile ed imprevista, che è poi anche il senso di una provvisorietà dell’atto e come di continuo differimento ad un atto successivo non solo nel contesto della singola opera ma anche da dipinto a dipinto.
L’opera non rappresenta così una tranche de vie ma è essa stessa una Tranche de vie, qualcosa che implica un continuo passaggio, una evoluzione del racconto in cui figura e paesaggio scompaiono come visione ma restano come estraneità allusiva a spiegare il mistero della vita.
Valerio Grimaldi
